sabato 28 marzo 2015

Ansaldo: respinto l’attacco occupazionale, ma lo spirito di lotta deve rimanere



In base ad un “Piano industriale” da ”avviare entro il mese di aprile 2015… il cui completamento è previsto nel 2017”
           "Ansaldo Caldaie S.p.A";non esiste più, i lavoratori lavoreranno per “ACBoilers S.p.A."chesi occupa della progettazione, costruzione ed installazione di caldaie di grande taglia per impianti di produzione di energia elettrica in particolare caldaie dì potenza per impianti di produzione di energia elettrica, a carbone, olio e gas - Generatori di Vapore a Recupero a valle di turbine a gas per impianti a ciclo combinato - Caldaie a biomasse e per termovalorizzazione di rifiuti...II mercato di ACBoilers è oggi quasi esclusivamente centrato su Paesi extra europei.”

Cosa farà lo stabilimento gioiese di ACBoilers S.p.A?
 “- mantenere le attività di service per revamping di boiler;
- mantenere la realizzazione di parti in pressione speciali con acciai legati
 - avviare e realizzare nuove linee di produzione :
     per   costruire direttamente o tramite società controllata bruciatori per boiler con una nuova linea dedicata
     per realizzare una linea dedicata alla fabbricazione di Corpi cilindrici anche mandrinati e/o con caratteristiche speciali derivanti da ordini acquisiti anche da altre società del Gruppo Sofinter.
     a seguito dei progetti di R&D attualmente in corso un centro di assemblaggio di moduli per l'ossicombustione flamless da parte di ITEA, società controllata del Gruppo Sofinter.”

Il Piano Industriale spiega, a grandi linee, cosa sarà fatto per svolgere tali attività:
Investimenti in 
“macchinari-Innovazione-Formazione”in cui “Il  Ministero dello Sviluppo Economico ed Invitalia, si impegnano a valutare l'utilizzo di strumenti idonei a supportare, investimenti coerenti con le linee generali del Piano Industriale”….La Regione Puglia…la disponibilità a sostenere, i piani formativi ,,,,”
Riduzione costi  attraverso
  ottimizzazione dei costi operativi
   riduzione salariale “a partire dal 1° aprile 2015”
   riduzione del personale attraverso “mobilità per 31 lavoratori…fino al raggiungimento dei requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o di anzianità….Esodi incentivati..in linea con le esigenze aziendali;cassa integrazione “..a partire dal 6 aprile 2015 e sino al 31 marzo 2017…secondo le esigenze organizzative, tecniche e produttive dello Stabilimento”
Verifiche sull’attuazione dell’accordo saranno effettuate al “Ministero dello Sviluppo Economico .. entro ottobre 2015 ed il secondo entro giugno 2016 .”
 
Sintetiche considerazioni 
          Nella formulazione generale sembra un’operazione di riorganizzazione di Gruppo finalizzata ad ottenere aiuti pubblici sotto forma di ulteriori ammortizzatori sociali e un depotenziamento dello stabilimento di Gioia. Quest’ultimo diventerebbe un “terzista” per il Gruppo Sofinter, forse più conveniente solo per alcune lavorazioni; non si parla di nuove produzioni, ma, per adesso, di trasferire alcune produzioni da Macchi a Gioia. E’ evidente la carenza di politica strategica nel settore energetico del governo e nel sindacato nazionale
           Non è stato stabilito l’organico a regime, cioè al 2017, dello stabilimento di Gioia del Colle; il piano riferisce di ore lavorate nell’anno ma non parla chiaramente dell’organico. Molti lavori oggi si fanno facendo ricorso allo straordinario, questo creerà complicazioni e contraddizioni fra i lavoratori anche e specialmente per quella parte dell’accordo secondo cui la cassa integrazione si andrà gradualmente a ridurre anche “in funzione dei trasferimenti e delle offerte occupazionali provenienti dalla altre società del Gruppo in Italia.”
In riferimento a questa ambigua definizione, è naturale attendersi ricatti aziendali in cui la funzione sindacale è più politica che procedurale, e su questa questione è evidente la necessità di un salto di qualità degli operai in generale e dei loro rappresentanti interni e territoriali in particolare.
Un salto di qualità che deve investire tutto il movimento operaio dello stabilimento.
           Il ritiro dei licenziamenti è la conseguenza della lotta determinata dei lavoratori, è necessario che questa conquista diventi consapevolezza della propria forza, senza questa determinazione, gli “alleati” istituzionali e non, avrebbero fatto la “comparsa” come è accaduto in altre circostanze. Tale consapevolezza deve diventare coscienza di classe, cioè non di singoli individui in cerca di amici protettori, ma di gruppo organizzato consapevole che Sofinter non è una organizzazione filantropica e che nel 2017 potrà richiedere ulteriori finanziamenti strumentalizzando la difesa dei posti di lavoro.
I lavoratori di Gioia, quelli dello stabilimento in particolare, non devono trovarsi impreparati

martedì 3 marzo 2015

La Rai non lo dice, lo nasconde, si schiera con chi vuole la guerra




Ucraina, fratelli disertori: “Costretti alla guerra e ora in fuga dall’esercito di Kiev”




Il governo Poroshenko sta intensificando l’arruolamento coatto, così Ivan, 21 anni, e Vassili, 18, nomi di fantasia, sono fuggiti in Transnistria. "Ci hanno portato a Donetsk per mandarci in battaglia e fatto bere vodka per prendere coraggio - raccontano - i media dicono solo bugie: l'esercito russo non c'e nel Donbass. Ci sono volontari di paesi dell'ex Urss, ma non i reparti regolari"


il Fatto Quotidiano 3 marzo 2015

Posso usare il vostro vero nome?
“Preferiamo rimanere in incognito perché abbiamo paura di essere rintracciati. Siamo ricercati. Rischiamo il tribunale militare per aver disertato dall’esercito”.
Li chiameremo Ivan e Vassili questi due fratelli ucraini. Ventuno anni Ivan,18 Vassili. Come accade a tanti giovani in Ucraina la guerra ha sconvolto i loro destini. Non ci sono dati certi sul tasso di diserzioni nell’esercito ma si sa che è molto alto, tanto che il governo Poroshenko sta intensificando l’arruolamento coatto, specialmente nelle zone rurali, dove il basso reddito delle famiglie impedisce loro di pagare funzionari corrotti per evitare ai figli di essere sbattuti al fronte. Così a Ivan e Vassili non è rimasto che fuggire a rischio della vita.
Perché avete disertato?
“Perché – risponde Ivan – non vogliamo partecipare alla guerra. Siamo contadini, i nostri antenati erano contadini, amiamo la vita semplice e rispettiamo tutti quelli che lavorano, che sudano per vivere, non capiamo niente di politica e non vogliamo uccidere o essere uccisi per gli interessi di qualcuno”.
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Potete raccontarci come siete stati arruolati?
“Siamo stati arruolati per delle esercitazioni, così ci avevano detto. Non volevamo andarci, però i poliziotti sono arrivati a casa e hanno detto che dovevamo presentarci nell’ufficio di arruolamento per il corso d’addestramento, altrimenti saremmo stati messi in carcere”.
Come avete fatto a fuggire?
“Per una settimana – racconta Vassili – ci hanno tenuti in una base vicino a una grande città, eravamo un centinaio di ragazzi. Ci hanno dato uniformi militari usate. La mia giacca aveva un buco di proiettile dove si vedeva ancora un po’ di sangue. Quando ho chiesto al sergente di chi era, mi ha risposto che la giacca era rimasta dai tempi sovietici, dalla guerra in Afghanistan. Però io non ci ho creduto. Sapevo che nel Donbass c’è una guerra. Ci hanno portato al poligono e fatto sparare un caricatore di Kalashnikov a testa. Ho mancato apposta il bersaglio perché non volevo esser preso come tiratore. Mio fratello ha fatto lo stesso e così molti altri. I comandanti erano nervosi e arrabbiati. Abbiamo passato alcuni giorni in caserma, senza poter uscire. Una notte sono arrivati auto e camion militari. Ci hanno detto che ci spedivano vicino a Odessa per altre esercitazioni. Siamo arrivati al mattino presto. Ci hanno distribuito fucili e 4 caricatori a testa, poi i sergenti ci hanno indicato la direzione di marcia. Dopo alcuni minuti di cammino abbiamo sentito il rumore della battaglia. Non eravamo a Odessa, ma all’aeroporto di Donetsk. Ci hanno ordinato di raggiungere un punto esatto per recuperare dei feriti e riempito le borracce con vodka e fatto bere per prendere coraggio. Dopo poche centinaia di metri alcuni dei ragazzi avevano buttato le armi scappando verso il bosco. Quando un ufficiale se ne è accorto ha sparato a chi fuggiva, senza colpire nessuno. Ci ha detto che avrebbe ucciso chiunque avesse provato a fare un passo indietro. Quando ci siamo avvicinati a meno di cento metri dall’aeroporto, da diverse direzioni hanno cominciato spararci addosso. Io e mio fratello ci siamo buttati a terra e trascinati dietro a una piccola struttura di cemento. Lì abbiamo passato quasi mezz’ora, non abbiamo visto niente, sentito solo continui spari. Poi mio fratello ha buttato il fucile e ha cominciato a indietreggiare: abbiamo strisciato nel fango non so per quanti metri. Quando ci siamo accorti di essere lontani abbiamo cominciato a correre. Dopo qualche ora abbiamo incontrato gente locale, contadini come noi. Ci hanno nascosto in casa, regalato vestiti civili e spiegato la strada che dovevamo fare per non imbatterci in pattuglie dell’esercito ucraino. Non avevamo documenti e sapevamo di essere fuori legge: ci muovevamo di notte. Abbiamo deciso di fuggire in Transnistria, dove la nostra famiglia ha delle conoscenze”.
Temete rappresaglie sulle vostre famiglie?
“Grazie ai nostri amici transnistriani – dice Ivan – abbiamo contattato i nostri genitori. Dicono che la polizia gli ha portato il mandato d’arresto: siamo ricercati per tradimento. Sono stati portati due volte negli uffici dei servizi segreti locali per esser interrogati. Mia madre è stata picchiata perché ha risposto male a un agente”.
È vero che c’è un mercato con tariffe da pagare per essere esonerati dal servizio al fronte?
“A noi hanno chiesto mille euro a testa per evitare il servizio militare”.
Sono molti quelli che non vogliono andare a combattere nel Donbass?
“Il problema – risponde Ivan – è che non sappiamo niente della guerra. I media raccontano bugie, condizionano il popolo ad appoggiare le violenze del governo. A noi dicevano che lì ci sono gli invasori russi , i militari della Federazione russa che hanno occupato l’Ucraina. Non abbiamo incontrato nessun militare russo e le persone di Donetsk che ci hanno aiutato di fuggire ci hanno detto che l’esercito russo non c’e nel Donbass. Ci sono volontari di molti paesi dell’ex Urss: singole persone, ma non reparti dell’esercito russo”.
Cosa pensate dei cosiddetti separatisti?
“Difendono le loro case – dice Vassili – le città dalle aggressioni dell’esercito ucraino. Se fossimo nati nel Donbass saremmo stati separatisti anche noi”.
Cosa pensate della rivolta di Maidan?
“Prima eravamo entusiasti. Sembrava si trattasse di una rivolta popolare contro il sistema dei politici corrotti. Ma presto abbiamo capito che non era cambiato niente. Sono arrivati al potere i corrotti che prima erano di seconda serie, hanno spodestato i corrotti di prima serie e hanno cominciato derubare il paese più di prima. Hanno generato la guerra, manipolano la gente con la propaganda di odio contro i russi, che io considero più che fratelli”.
Vorreste un intervento Usa?
“No – risponde Ivan – non vogliamo gli americani in Ucraina”.
Cosa pensate del governo Poroshenko?
“Penso sia un fantoccio degli americani”.
Credete che un giorno potrete tornare in Ucraina?
“Spero di sì – risponde Vassili – vogliamo tornare alle nostre vite normali, ai lavori nei campi”.

8 MARZO

Lottare per ridare dignità e valore a tutte quelle donne 
che in passato hanno lottato rimettendoci anche la vita. 


                   


La giornata internazionale della donna che si ricorda ogni anno l’8 marzo, è stata istituita per ricordare da un lato le conquiste politiche, sociali ed economiche delle donne, dall’altro le discriminazioni e le violenze che sono tutt’ora presenti in molte parti del mondo.

Nel nostro paese nel corso degli anni questa giornata ha subito delle trasformazioni. Nel dopo guerra c’e stato un forte movimento di donne che lottavano per migliorare le proprie  condizioni  di vita, sia sui posti di lavoro che nella società; negli anni 70 la vittoria del referendum sul  divorzio, sull’aborto, l’istituzione dei consultori, degli asili nido, la legge sulla maternità (la 1204)  insomma tutta una serie di conquiste in cui le donne si avviavano verso quel processo di emancipazione. Ma tutto ciò si è dissolto nel tempo. Infatti negli anni 80 e 90, anni in cui si beneficiava di un apparente benessere e minimamente si pensava di ritornare indietro, questa giornata si è trasformata in festeggiamenti, come regalare fiori e mimose alle donne, andare in pizzeria ecc..; insomma tutto in funzione al consumismo che cozzava e cozza in maniera tremenda contro il reale significato di questa giornata.
Quello che era nato come giorno che serviva a celebrare i diritti delle donne, a innalzare il loro ruolo nella società, un giorno per celebrare il loro coraggio, l’autodeterminazione, ora è un giorno svuotato di quei contenuti e valori. Questo non è retorica, serve a riflettere e ritornare sulle origini di questa giornata. Nonostante siano passati tanti anni, i contenuti e i simboli ci sembrano così vicini e attuali in considerazione della situazione politica ed economica che stiamo attraversando.
La crisi economica che dura ormai da diversi anni, in cui, governi di centro destra e centro sinistra, hanno imposto misure antipopolari, non ultimo il governo Renzi, ben allineato con le scelte economiche della troika (UE,FMI,BCE) facendoci ritornare indietro di anni. Perdite di posti di lavoro, mancanza di lavoro, abolizione dell’art.18, smantellamento dello stato sociale (scuola, sanità, servizi ecc), ha provocato un peggioramento della vita sociale e, soprattutto, la donna, è ricacciata tra le mura domestiche, ad accudire figli, a fare assistenza ai propri anziani, bisognosi di cure.
Purtroppo anche a Gioia sono presenti aziende in cui le condizioni di lavoro sono disumane,e le donne pur di mantenere il lavoro accettano vessazioni e sfruttamento.
Mentre assistiamo a questo disfacimento con livelli di povertà elevatissimi, con pericoli di guerra alle nostre porte, si muore per mancanza di posti letti negli ospedali (vedi ultimo la neonata morta a Catania); sono tutti problemi che ci devono dare la carica per lottare. La battaglia sulle quote rosa se sono finalizzate a se stesse, contano poco. Nel parlamento e nelle varie istituzioni c’è presenza femminile, ma il suo ruolo è finalizzato a che cosa? A portare avanti anche i problemi delle donne o fare numero ?  Certo nel parlamento vogliamo donne che guardano gli interessi di uomini e donne. Per esempio non guardiamo con positività il ruolo della ministra della difesa Pinotto in quanto donna: rispetto alla pace fortemente minacciata è ben allineata con le scelte del governo,  basti pensare che per le spese militari si spendono in Italia 50/52 milioni di euro al giorno.
Ritornando all’8 marzo. certamente come data simbolica, si pone la necessità di organizzarsi e lottare per ridare dignità e valore a tutte quelle donne che in passato hanno lottato rimettendoci anche la vita, far rivivere e riconquistare contenuti e valori per cui si sono battute.

“Quanto al perché la scelta sia caduta proprio l’8 marzo, la verità storica è piuttosto complessa e articolata….In sintesi, pare che il 27 agosto 1910 Clara Zetkin abbia proposto, sì, d´intitolare una giornata dell´anno alle lotte delle donne, ma senza specificare subito quale giorno dell´anno. E in ogni caso della proposta non se ne fece nulla di concreto fin dopo la fine della prima guerra mondiale. Fu infatti ignorata da parte delle donne borghesi (ed è facile intuire il perché, venendo essa dalle donne socialiste), ma neppure in ambito proletario venne accolta con entusiasmo. Non pochi fra gli stessi socialisti manifestarono il timore che una giornata specificatamente dedicata alla donna intaccasse l´unità di classe del proletariato. "Che cos´è la Giornata della Donna? È davvero necessaria? Oppure è solo una concessione alle donne della classe borghese, alle femministe e alle suffragiste? Non è dannosa all´unità del movimento operaio?", chiedeva Aleksandra Kollontaj in un articolo del 1913, rilanciando in forma di domanda le obiezioni e i mugugni dei compagni dubbiosi. Ai quali però ella stessa si affrettava a rispondere: "I lavoratori non dovranno preoccuparsi che ci sia un giorno separato e diverso chiamato Giornata della Donna. La Giornata della Donna e il lento e meticoloso lavoro condotto per elevare l´autocoscienza della donna lavoratrice servono la causa non della divisione, ma dell´unione della classe lavoratrice". Concludendo infine con un appello accorato: "Lasciate che il sentimento gioioso di servire la causa comune della classe lavoratrice e di lottare simultaneamente per l´emancipazione della donna ispirino le lavoratrici a unirsi nella celebrazione della Giornata della Donna!". Fu infine nel 1921 che, a Mosca, la seconda conferenza delle donne comuniste adottò la data dell´8 marzo come "giornata internazionale delle donne lavoratrici". La data prescelta pare che abbia a che fare non tanto con la tragedia di 129 operaie morte nell´incendio di una fabbrica a New York - come leggenda vuole -  quanto con la ricorrenza della prima grande manifestazione di operaie russe scese in strada  a San Pietroburgo contro il regime zarista il 23 febbraio 1917 (giorno corrispondente all´8 marzo, secondo il calendario giuliano vigente in Russia). Ada Donno (AWMR Italia), 

la corruzione al comune




“Tanto tuonò che piovve”.  Che fare dopo il temporale?

“Tanto tuonò che piovve”. Esclamazione attribuita a Socrate, quando, secondo una leggenda,  la moglie Santippe, sulla soglia di casa, dopo l’ennesimo e plateale polemica nei confronti del marito, gli rovesciò addosso un vaso d’acqua.

Questo è avvenuto a Gioia del Colle. Solo che non è “leggenda” e, che, al posto di Socrate, si sono bagnati i capi dell’attuale amministrazione comunale con alcuni dipendenti comunali.

Il “secchio d’acqua” è stato versato realmente dalla Procura di Bari in quanto “Nel corso delle indagini è emerso che i pubblici amministratori, a fronte della promessa di ricevere dall'imprenditore una "tangente" ammontante complessivamente a 100.000 euro, creavano le condizioni affinché il POSA, attraverso la società indicata, partecipasse e, conseguentemente, si aggiudicasse una gara pubblica avente ad oggetto la realizzazione di un elevato numero di alloggi da destinare ad edilizia popolare, nel quadro di un programma di "social housing ".

I “plateali polemisti” sono stati:

       i contribuenti gioiesi che si sono mobilitati in quanto cinicamente vessati da una serie di tassazioni ingiuste e sproporzionate alle loro reali condizioni economiche;

      I consiglieri Cuscito-Lucilla-Vasco, che più volte e su varie questioni, hanno denunciato alla procura e al prefetto una pratica  amministrativo non consona ai criteri della legalità e della trasparenza;

      Forze politiche, associazioni, professionisti che hanno denunciato e opposto resistenza ad uno stile amministrativo personalistico.

Socrate, 2500 anni fa “avrebbe” esclamato la famosa frase, oggi, centinaia di cittadini gioiesi, la maggior parte giovani, hanno gridato “VERGOGNA” ai consiglieri di maggioranza durante un incontro dei capi gruppo al comune, invitandoli con convinzione e determinazione a dimettersi, prendere le distanze da chi è stato accusato di corruzione, favorendo così, subito, l’elezione di un’altra amministrazione comunale.

Grida incomprese per sordità “misteriosa”.

Socrate fù condannato a morte, ingiustamente accusato da un governo dispotico e corrotto; chi a Gioia, vuole evitare la stessa sorte di Socrate, vuole evitare la capitolazione civile, economica e morale, individuale e collettiva, come conseguenza dell’arbitrio del potere locale, deve usare la “saggezza” e costruire quello cha al grande filosofo greco non fù possibile attuare: creare una organizzazione politica capace di sconfiggere il potere economico e politico corrotto.

Chi sono le forze sociali potenzialmente protagoniste di questo gravoso ma imprescindibile impegno?

Non tutti i cittadini sono oggettivamente interessati alla lotta contro la corruzione, ci sono persone e organizzazioni che vivono e guadagnano dalla corruzione. Per esempio, senza clientelismo molte forze politiche ed economiche non esisterebbero. Sono interessati chi è danneggiato dal potere basato sullo sfruttamento e sulla corruzione.

       In primo luogo le masse lavoratrici, non come singoli individui, ma come forza sociale di per se; i lavoratori in generale e la classe operaia in particolare (che esiste e che è scomparsa solo per i sociologi disattenti, vedere le lotte degli operai dell’Ansaldo) sono, oggettivamente, le più organizzate, nonostante tutto, più incline e incisive in azioni di mobilitazioni per il riscatto sociale;

        i giovani che cercano lavoro, quelli che credono nel diritto allo studio; sono i più pronti, anche se i più oscillanti;

         le donne che rifiutano di inserirsi nel crogiolo della cultura casalinga fondata sul deprimente particolarismo familiare e i modelli culturali e consumistici profusi dalle tv;

          i professionisti dignitosi che non portano all’ammasso la loro conoscenza ma la investono per il benessere sociale.

Le forze politiche capaci di guidare le iniziative e le lotte per sconfiggere l’immenso potere corruttivo che permea l’apparato di governo, ai vari livelli decisionali, non possono essere che anti-sistema in quanto il potere economico e politico si rigenera continuamente nell’ingiustizia e nella corruzione. Per sembrare innovatore il potere ha bisogno di riciclarsi (con sigle e/o regole). L’amministrazione colpita dalle decisioni della procura è l’esempio di spudorato riciclo. Un’aggregazione politica che sia efficace contro l’ingiustizia, la corruzione, deve avere una visione nazionale (nella costituzione la bussola antifascista), mondiale (nel proprio DNA la fratellanza fra i popoli contro l’imperialismo, il militarismo),  nella selezione valoriale del gruppo dirigente la credibilità dell’azione politica. Un’esigenza da codice rosso.