Analisi del settore vitivinicolo risvolti economici e lavorativi
All’interno di una complessiva considerazione generale dell’economia agricola è mia intenzione effettuare un’analisi del settore vitivinicolo essendone impiegato da diversi anni e scorgendone contraddizioni rilevanti.
Per fare ciò è necessaria un’analisi mondiale, europea e regionale per quanto riguarda i rilievi statistici che gioveranno alla oggettività delle mie considerazioni.
All’interno del report dell’OIV (organizzazione internazionale della vite e del vino) “ Congiuntura viticola mondiale: evoluzione e tendenze “ del 27 aprile 2015 a Parigi vennero analizzati dei dati certi sulla vitivinicoltura mondiale per l’annata 2014 : il totale degli ettari vitati nel mondo era di 7544 milioni con una produzione totale , esclusi succhi e mosti, di 279 milioni di ettolitri di vino.

Per la scorsa annata 2016, invece la produzione stimata dalla suddetta organizzazione è di 267 milioni di ettolitri. Su questo totale l’Italia è leader della classifica con 48,8 milioni di ettolitri ed effettua il sorpasso sulla Francia che si attesta sui 41,9 milioni di ettolitri, pur rimanendo la produzione francese nella media degli anni 09/16 di 2 milioni superiore alla produzione italiana (46,4 Francia vs 44 Italia). Al terzo posto si posizione la Spagna che si attesta sui 36,4 milioni di ettolitri. Degni di nota sono le produzioni del “nuovo mondo” vitivinicolo e particolarmente sorprendente risultano gli 11,5 milioni di ettolitri prodotti dalla Cina che supera l’Australia, attestandosi saldamente dietro gli USA (21,5 milioni di ettolitri), fatto straordinario se consideriamo il clima non propriamente vocato alla viticoltura della Cina. In sintesi l’Italia detiene il primato mondiale della produzione del vino con il 19% su scala planetaria e, insieme a Francia 16% e Spagna 15%, rappresentano il 50% della produzione mondiale. Nel panorama economico della vitivinicoltura italiana la Puglia, la nostra regione, ha prodotto nel 2015 (dati ISTAT) 7546 milioni di ettolitri attestandosi saldamente al secondo posto, al di sopra di Sicilia ed Emilia Romagna e dietro il Veneto; la Puglia dunque rappresenta attualmente il 15,5% della produzione nazionale di vino. Ma, oltre le cifre e le quantità produttive, è le rimarcare le peculiarità del prodotto vino nel momento in cui si fanno delle considerazioni di cambio economico rispetto al passato. Il vino un tempo era considerato un alimento tout court: era una delle fonti di sostentamento per i contadini ed aveva delle quotazioni alla stregua di alimenti come grano, latte e cereali. In quest’ultimo ventennio, invece, ha acquistato valore di profitto (da valore d’uso: soddisfare i bisogni umani a valori di scambio: rapporti di quantitativi che si instaurano tra il bene e il denaro). Mi spiego meglio: Il vino attualmente va ben oltre il suo valore di alimento, di companatico, il vino al giorno d’oggi è vissuto e raccontato nei minimi dettagli (condizioni pedo-climatiche, regioni, tradizioni, denominazioni, vitigni) fino ad averne creato un prodotto corredato da marketing e sviluppi sull’economia turistica di un territorio. I primi a dare impulso a tale operazione furono senz’altro i francesi che già dal 1855 con la classificazione ufficiale dei vini di Bordeaux, città di riferimento tutt’ora nel mondo del vino, definì i migliori vini di Bordeaux per poterli esportare sul mercato mondiale instituendo i cosidetti CRU (Chateau Lafite, Margaux, Latour, ecc), vini ancora oggi prodotti e venduti a prezzi stratosferici. pubblica affidata ad un organismo privato.
Tra l’altro la Francia istituì per prima le AOC (appellation di origine controllée) nel 1931 per far fronte a sindacati di viticoltori a cui fu affidato il comitato nazionale di propaganda del vino: una funzione
Per quanto riguarda l’italiana DOC o DOCG, le prime furono istituite nel 1963 e poi altre nel 1966 (il vino nobile di Montepulciano diventa nel 1980 la prima DOCG d’Italia).
Il sistema della DOC e delle DOCG ha quindi regolamentato le produzioni ed i disciplinari di tutte le zone vitivinicole italiane, ma lascia ancora delle perplessità e dei divari di prezzi per litro a seconda del territorio, quasi sempre a scapito dei vini del sud, pur essendo questa la zona più produttiva (un litro di Brunello sfuso costa 8,5€/l mentre un litro di Trebbiano d’Abruzzo 0,35€/l). In questa opera di regolamentazione e di logica di valore aggiunto sul vino confezionato si muovono ed agiscono le più grandi aziende italiane, attestandosi tra le prime al mondo anche se la top 10 è di matrice USA ed AUSTRALIANA.
Secondo i dati di MEDIOBANCA nel 2015 la prima azienda italiana del settore è il GIV (GRUPPO ITALIANO VINI) con 558 milioni di fatturato, seguita da CAVIRO (cooperativa romagnola) con 300 milioni e da ANTINORI (storica azienda toscana che ha anche diverse tenute in Puglia), il cui fatturato si aggira sui 209 milioni.
Se gli Antinori ed i Frescobaldi, due famiglie nobili Toscane, detengono il primato sul valore aggiunto del vino, essendo tra l’altro in possesso dei marchi più lussuosi come il Tignanello per Antinori ed il CRU Masseto per i Frescobaldi (400 euroa botg), il GIV si piazza tra le prime anche per valore aggiunto avendo fatto un’operazione do di piccole medie aziende su tutto il territorio nazionale, liberandosi se vogliamo di gestioni più dirette della terra e del lavoro agricolo, cosa sicuramente vantaggiosa ma lasciando ampi spazi di decisione alle cantine locali che reperiscono i lavoratori con i soliti metodi giornalieri e precari
Un altro colosso italiano è una cooperativa, non l’unica in realtà, è si tratta della CAVIRO.
La CAVIRO è una delle più grandi cooperative mondiali e segue tutto il settore enologico , dalla produzione in bric (Tavernello) a quella in bottiglia, dalla distillazione ai mosti concentrati fino ad arrivare all’estrazione dell’ enocianina (colorante) e dell’acido tartarico(coadiuvante enologico).
Essendo una cooperativa naturalmente ha dei vantaggi fiscali ma si comporta esattamente come tutte le aziende private diventando un vero e proprio colosso dell’enologia con un sistema a “matrioska” di cooperative e piccole e medie aziende vitivinicole.
Dal punto di vista degli aiuti europei al settore vinicolo è importante soffermarsi sui finanziamenti europei volti allo sviluppo del MERCATO del vino nei limiti della Comunità e verso i Paesi Terzi.
Nei Trattati di Roma del 1957 infatti fu decisa infatti la cosiddetta PAC (politica agricola comune) volta a creare criteri comuni ed uguale sviluppo di tutte le aree della CEE.
I Due fondi strutturali della PAC sono il FEASR (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale) ed il FEAOG (Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia). Se quest’ultimo è il fondo che garantisce i pagamenti diretti agli operatori agricoli, il FEASR avrebbe come obiettivo quello di finanziare le innovazioni in agricoltura e nelle zone rurali. All’interno di questi aiuti si inserisce il programma di finanziamenti detto OCM vino, organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli , secondo programmi di finanziamento settennali (l’ultimo è il 2014-2020).
Ai bandi OCM possono accedere tutte le aziende vinicole ottenendo finanziamenti a fondo perduto dal 40% all’80% e nel limite del 20% del fatturato dell’ultimo anno.
Se da una parte si scorge l’aspetto positivo della possibilità di accedere ai finanziamenti alle piccole cantine da sole o in ATI (associazione temporanea d’impresa) dall’altro i dati 2015 ci parlano di grossi finanziamenti ai grandi gruppi (CIV 5.67 milioni GIV 3,017 milioni Caviro 743 mila €),
parliamo di 9 milioni di € su 71 totali erogati per le regioni italiane tutte!
E quindi viene da chiedersi dove si trova la volontà di creare parità di sviluppo delle regioni sfavorite?
Dov’è la promozione del trasferimento di conoscenze ed innovazione se i grandi gruppi accentrano il potere sui mercati ?
E poi ancora dov’ è il favorire l’inclusione sociale , la riduzione della povertà e lo sviluppo economico nelle zone rurali?
Se è sicuro l’utilizzo delle nuove tecnologie, molte aziende stanno andando verso la raccolta meccanica e la prepotatura della vite, è anche certo il sottrarre ad un settore dalle forti radici popolari lavoro e continuità dei mestieri, i potatori son sempre meno e pochi giovani sanno cosa significa il duro lavoro della raccolta.
Per quanto riguarda lo sviluppo rurale poi non è di certo all’ordine del giorno una comunità che si riappropri dei paesaggi e ne curi l’ecologia e la sostenibilità, piuttosto vediamo il fiorire di nuove aziende private che di sicuro guardano all’interno dei propri cancelli figurando spesso come castelli in mezzo ad un mare di incuria pubblica.
E poi l’INCLUSIONE SOCIALE ne è l’aspetto più contradditorio. Ne siamo certi che ad una DOP di un’area vitivinicola segua una DOP dei diritti dei lavoratori agricoli?
Cioè ad un settore che insegue l’innovazione e lo sviluppo sui mercati spesso corrispondono contratti precari di lavoro se non rapporti sommersi o a nero.
La vita di un bracciante spesso comincia alla mattina in una piazza di un paese agricolo, soprattutto al sud, dove aspetta la chiamata ALLA GIORNATA che gli verrà pagata al prezzo di PIAZZA mediamente 45 €. Nei casi migliori quelle giornate che lavorerà gli saranno “segnate” in minima parte in una busta paga fasulla che firmerà a fine mese nella speranza di raggiungere le poco o più di cento giornate per ottenere l’indennità d
Ancora più grave è il caso in cui verrà arruolato da un CAPORALE che lo porterà nei luoghi di lavoro dove dopo le sue ore di lavoro dovrà cedere parte del suo compenso. E’ il caso questo ad esempio delle squadre che si dedicano all’ACININO (uva da tavola) o alla vendemmia sotto i tendoni magari dove è più facile dileguarsi in caso di controlli.
E poi l’aspetto più preoccupante è la competizione trasformata in vera e propria guerra tra poveri tra lavoratori di origine italiane e comunitari dell’est o africani, che rappresentano un vero e proprio arsenale di braccia a poco prezzo per tutte le aziende che vogliono abbattere i costi di produzione aumentando il margine di profitto.
Ecco se proprio deve essere INCLUSIONE SOCIALE l’UE dovrebbe davvero intraprendere politiche dell’allargamento dei diritti sui posti di lavoro e soprattutto nell’agricoltura tutta dove persistono sacche di conservatorismo padronale e di sfruttamento continuo di manodopera non dichiarata .
In conclusione il settore vitivinicolo se da una parte ha una parte fortemente attrattiva dal punto di vista edonistico dall’altra continua ad adoperare lo sfruttamento come consuetudine nel produrre.
Dalla relazione di Roberto Cardilli al convegno meridionale sull’agricoltura del Partito Comunista ad agosto scorso
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